L'EDITORIALE

Insurtech, fare open innovation significa anche investire sulla filiera

Le scaleup più finanziate e in crescita sono quelle che hanno aggredito filiere da digitalizzare. Le compagnie di assicurazione, come tutte le grandi aziende, hanno una grande opportunità e una responsabilità: sostenere chi non ha le risorse e le competenze per affrontare la trasformazione digitale

Pubblicato il 20 Feb 2019

100 milioni: l’investimento più alto del 2018 è stato su una startup insurtech. 30 milioni: il primo finanziamento della Banca Europea degli Investimenti a un’impresa digitale italiana è arrivato a un scaleup che sta digitalizzando il mondo delle auto. Che cos’hanno in comune Prima Assicurazioni e MotorK? Aver preso di mira due filiere ricche ma stanche ed averle aggredite con le tecnologie digitali. Due filiere decisive per il business assicurativo: la propria (Prima è una piattaforma digitale di brokeraggio) e quella dell’automotive (un’industria in pesante ridimensionamento e proprio per questo con un urgente  bisogno di ottimizzare costi e relazioni con il mercato).

Il 2019 si è aperto bene per l’ecosistema dell’innovazione: crescono i capitali a disposizione per le nuove imprese e quindi i tagli degli investimenti; aumenta l’attenzione e la sensibilità delle grandi aziende sui temi della trasformazione digitale; si moltiplicano le iniziative di open innovation per cogliere e accogliere le energie delle startup.

Eppure sarebbe pericoloso pensare che il lavoro è fatto e il risultato arriverà presto.

Siamo ancora solo all’inizio dei processi di innovazione delle grandi organizzazioni mentre si fa sempre più pesante e pressante l’azione dei nuovi competitor che arrivano da dove meno te lo aspetti. Chiamamoli “disruptor”: quando hanno le idee chiare e il sostegno dei capitali possono diventare pericolosi, a meno che non scelgano la via della collaborazione (il caso di MotorK con le case auto e le concessionarie…).

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Le startup o scaleup che sono riuscite ad addentare mercati maturi faticano sempre meno a trovare risorse finanziarie perché creano valore, sottraendolo agli incumbent che sbaglierebbero di grosso se rispondessero arroccandosi sulle proprie posizioni. Aprirsi alle startup, sviluppare le competenze imprenditoriali interne, sviluppare prototipi basati sulle tecnologie più avanzate sono passi importanti, necessari ma non sufficienti.

Fare open innovation significa anche coinvolgere nel percorso di trasformazione chi lavora abitualmente con un’azienda e magari ha minori risorse e capacità di affrontare le sfide dell’innovazione. Altrimenti prima o poi lo fa qualcun altro: MotorK è cresciuta aiutando le concessionarie automobilistiche a digitalizzarsi e progressivamente ha esteso la sua influenza a tutta la filiera, arrivando fino alle officine e ai ricambisti. Per questo il fatturato cresce ogni anno a doppia cifra, per questo gli investitori intravvedono un potenziale di sviluppo a livello internazionale. Ma se BEI ha impegnato 30 milioni, è perché la scaleup ha nel suo piano un investimento di 75 milioni in ricerca e sviluppo nei prossimi 5 anni. L’innovazione costa ed è fatta anche di tanto lavoro attorno agli algoritmi e ai dati.

Le compagnie di assicurazioni, come tutte le grandi aziende, hanno una grande opportunità e una grande responsabilità: fare da locomotiva digitale per le loro filiere distribuite geograficamente e ben radicate sul territorio. Un patrimonio di storie, esperienze, competenze che può e deve essere valorizzato in versione digitale, ben sapendo che il passaggio sarà inevitabile. È solo questione di tempo. Farlo insieme potrà essere un vantaggio per tutti: compagnie, filiera e clienti.

@RIPRODUZIONE RISERVATA

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Giovanni Iozzia

Direttore di EconomyUp, InsuranceUp e Proptech360, ha studiato sociologia ma da sempre segue la tecnologia. È stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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