Big Data, ecco i tre grandi limiti che ne rallentano l’uso

Sicurezza, privacy, discriminazione: sono i problemi che possono frenare lo sviluppo delle tecnologie applicative dei big data. Perciò è importante che per settori come quello assicurativo, dove l’uso massiccio dei dati è uno dei trend principali, l’attenzione verso queste problematiche sia alta

Pubblicato il 17 Giu 2017

Tra le tecnologie che abilitano le assicurazioni del futuro i big data sono senza dubbio il cuore: wearable e IoT possiamo vederli in fondo come strumenti per l’acquisizione di dati, che vanno poi analizzati e lavorati per trasformarsi in informazioni e conoscenza significativa che permette l’erogazione di nuovi o più personalizzati servizi, analisi predittive, nuovi modelli di business.

IDC ha stimato che il mercato mondiale delle tecnologie e dei servizi di business analytics (fondamentali per comprendere i dati) entro il 2020 varrà almeno 210 miliardi di dollari di valore.

Nel mondo delle startup il fermento in questo ambito tecnologico è molto alto e comprende l’emergere di realtà molto sofisticate che hanno spesso un fondamentale obiettivo: vendere la propria tecnologia alle compagnie assicurative. Abbiamo parlato recentemente di Lapetus Solutions, una realtà molto particolare che ha realizzato un software per le assicurazioni vita che permette di fare analisi predittive semplicemente con un ‘selfie’; in Israele GetmeIns ha sviluppato una piattaforma per prevenire le frodi, mentre Seegnature una tecnologia che permette alle compagnie di chiudere contratti in remoto; tutte le più importanti startup insurtech mondiali (sia quelle che sono di fatto nuovi player assicurativi, che altre che collaborano con le compagnie tradizionali) hanno modelli di business che fanno leva sui big data.

Sembra non esserci limite a quello che con l’enorme quantità di dati oggi prodotta si può fare: cercando di soddisfare il cliente, certo, ma a quale prezzo? quali sono i limiti che possono frenare l’uso dei dati? a quali pericoli sono esposte le aziende e i consumatori?

Un caso è emblematico della forma che può assumere ‘il problema’: qualche mese fa la compagnia inglese Admiral Insurance è stata la prima società ad analizzare i profili e i comportamenti dei proprietari di auto su Facebook per impostare le tariffe delle polizze, ne abbiamo parlato anche noi in questo articolo, giudicando la mossa della Compagnia piuttosto ‘aggressiva’. Una scelta annuncia e durata forse qualche ora poichè Facebook stessa ha bloccato l’operazione intimando a Admiral di sospendere subito in quanto ciò che intendeva fare contravveniva alle proprie regole sulla privacy.

Lo scontro tra privacy e uso dei dati è qui manifesto.

Forbes indica 3 principali settori: la privacy, la sicurezza e la discriminazione.

Il problema della privacy è molto delicato perchè non esistono regole uniformi in tutti i Paesi, gli Stati Uniti per esempio in cui hanno sede le principali tech company mondiali, sono additati come piuttosto lassi sul tema; contrariamente ad Europa e Italia dove comunque si sta lavorando per fornire un quadro di riferimento omogeneo e coerente nell’interesse sopratutto dei cittadini, spesso poco consapevoli. L’Italia è molto evoluta su questo tema, come dimostrato anche la recente presentazione annuale del Garante Privacy Antonello Soro.

Lo stesso editorialista di Forbes invita il legislatore US a seguire l’esempio europeo del General Data Protection Regulation (GDPR) che vuole rimettere nelle mani dei cittadini la gestione dei propri dati. Ma si richiama anche a una sorta di etica propria di ogni azienda, che non deve necessariamente aspettare le regole del legislatore, dicendo che su questo fronte si giocherà sempre di più la fiducia, l’affezione di un consumatore verso un marchio. Con il crescere dell’IoT e dell’ecosistema big data, questo tipo di fiducia tra azienda e cliente costruita sul rispetto dei dati personali farà la differenza. (ndr.per le assicurazioni basate da sempre sulla fiducia questo potrebbe essere un nuovo modo di interpretarla).

Sicurezza: è evidente che l’esposizione ai rischi di hacking, data breach, attacchi informatici, ecc cresce proporzionalmente al crescere di Industria 4.0, IoT, digitalizzazione e connettività. Forbes indica la soluzione in un cambio di passo tecnologico nell’affrontare il tema, invitando a colmare il gap di competenze di cui evidentemente le organizzazioni soffrono, ma anche ad utilizzare maggiormente i dati stessi per prevenire i rischi.

Le assicurazioni possono giocare un ruolo molto importante nell’accompagnare le aziende in un percorso di maggiore sicurezza, come ci aveva indicato il presidente ANRA Alessandro de Felice. “La gestione del rischio legato all’innovazione tecnologica può essere affrontato attraverso una comune visione e un lavoro sinergico di vari attori, del mondo industriale, finanziario, istituzionale, dove le compagnie assicurative possono diventare angeli custodi delle imprese digitalizzate. A patto che le compagnie stesse diventino molto più high-tech, smart e integrate per inquadrare al meglio nuovi bisogni e rischi.”

Discriminazione: questo tema è meno discusso degli altri due, ma comincia ad emergere. Il problema che pone è il seguente: è eticamente accettabile che grazie a una profilazione sempre più accurata, ad analisi sempre più predittive molte persone siano escluse dalla concessione di determinati servizi, come anche quello assicurativo? Siamo abituati ad essere giudicati solventi o insolventi da una banca per l’erogazione di un mutuo o aperture di credito, ma che dire di una profilazione e previsione talmente precisa davanti alla quale una compagnia assicurativa ci rifiuta la polizza? Personalizzazione significa anche questo.

Ancora una volta, però, bisogna sottolineare che proprio il mondo assicurativo che da sempre lavora con i dati e con le ‘previsioni’, può più di altri riuscire a individuare la migliore strategia e il migliore modello affinchè il futuro tenda verso servizi inclusivi e non discriminatori.

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