Coronavirus, Alessandro De Felice (ANRA): “Cambierà la cultura del rischio in Italia”

Coronavirus e risk management, quale scenario? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro De Felice, presidente di Anra. Che dice: “Oggi siamo nella fase della business continuity e del disaster recovery, a cui riuscirà a far fronte solo chi ha adottato un sistema di risk management e ne ha fatto uno strumento strategico”

Pubblicato il 12 Mar 2020

Alessandro De Felice, presidente Anra

Coronavirus e risk management, quale scenario dobbiamo attenderci? Cambierà la cultura del rischio nelle aziende italiane, dopo tutto quello che stiamo vivendo? Come? Alessandro De Felice, presidente Anra (Associazione Nazionale dei Risk Manager e Responsabili Assicurazioni Aziendali), non ha dubbi: “In seguito a un avvenimento di questa portata, anche la cultura del rischio in Italia ne uscirà profondamente cambiata e più matura”.

Coronavirus e risk management, un rischio prevedibile?

Tutti i report più recenti sui rischi per aziende e industrie parlavano di clima, di hacker, di tensioni politiche, ma nessuno ha mai inserito un rischio epidemico. Eppure ci sono precedenti anche recenti, dall’Aviaria alla Sars. È stato sottovalutato il rischio? O davvero non era prevedibile pensare che prima o poi un’epidemia sarebbe stata possibile?

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Non direi affatto che il rischio non fosse prevedibile: secondo il Global Risk Report del World Economic Forum, il rischio epidemico rientrava fino al 2008 fra i 5 più impattanti, e ad oggi risulta costantemente segnalato nelle mappature. Si può tuttavia osservare che nel tempo è sceso nella scala delle probabilità, pur restando indicato ad alto impatto: questo indica che, nonostante segnali d’avviso, la percezione non fosse più adeguata. È evidente che, in tempi più recenti, il focus si sia spostato verso nuovi rischi, come ad esempio quello cyber, senza rendersi conto che il sistema non è adeguatamente resiliente rispetto ad un evento come quello che ci ha colpito.

Oggi siamo nella fase della business continuity e del disaster recovery, a cui riuscirà a far fronte solo chi ha adottato un sistema di risk management e ne ha fatto uno strumento strategico.

Nonostante i rischi (non necessariamente sanitari) siano sempre presenti, secondo un’agenzia di pochi giorni fa in Italia solo un’azienda su 10 è assicurata contro i danni da interruzione dell’attività per cause di forza maggiore (come alluvioni o terremoti) rispetto al 50% in Europa. Come mai questo divario?

Anzitutto va chiarito che nessuna polizza copre l’interruzione di esercizio a seguito di epidemia/pandemia, salvo alcuni casi specifici nel settore delle coperture per l’annullamento di spettacoli o rimborso viaggio. Le ragioni di questo divario vanno cercate nel tecnicismo dei principi d’indennizzo, che sono difficili da comprendere e difficili da spiegare.

Cambierà la cultura del rischio in Italia

E il coronavirus ha ampliato questo divario?

Questo evento sta lasciando e lascerà enormi danni al tessuto economico del Paese, ma è una crisi indotta e non sistemica: come al termine di una guerra, si ricostruirà e ci si rimboccherà le maniche. È altamente probabile che, in seguito a un avvenimento di questa portata, anche la cultura del rischio in Italia ne uscirà profondamente cambiata e più matura.

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In Italia e in Europa ci si assicura (e chi si assicura) contro i rischi epidemiologici?

Come ho detto, non esistono coperture assicurative sul mercato per questo tipo di rischio.  Fanno eccezione alcuni settori specifici, in cui sono previste coperture sulla cancellazione di eventi, o le polizze di cancellazione viaggio, a patto che non prevedano esclusioni specifiche. Quando tutto questo sarà finito, probabilmente si potranno ipotizzare coperture ad hoc, ma tutto dipenderà dalla capacità di sottoscrizione e dai parametri di valutazione del rischio.

Quali sono i consigli?

Siamo quotidianamente bombardati da consigli più o meno affidabili, ed in questo frangente mi sento solo di darne uno: seguire scrupolosamente e con senso di responsabilità tutte le direttive e linee guida emanate dal Governo e dal Comitato Scientifico. Dimentichiamo per una volta il nostro individualismo, e facciamo la nostra parte nel comportarci come ci viene richiesto.

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