Cosa significa ‘trasferimento tecnologico’ e perché è importante per l’innovazione

E’ uno dei pilastri della open innovation. Fa bene alle imprese mature e alle giovani startup. Tutto quello che c’è da sapere sul trasferimento tecnologico, i suoi protagonisti, il suo ruolo nel sistema economico e dell’innovazione

Pubblicato il 26 Set 2018

Sono già diversi lustri che si parla di trasferimento tecnologico, eppure, mai come in questi ultimi anni il tema è diventato cruciale. Con l’accelerazione dell’economia e dell’industria digitale, il trasferimento tecnologico, o technology transfer, è diventato uno dei pilastri dell’innovazione e della open innovation.

Cosa significa esattamente?

Il trasferimento tecnologico comprende tutte quelle attività che sono alla base del passaggio di una serie di fattori (tra cui conoscenza, tecnologia, competenze, metodi di fabbricazione, campioni di produzione e servizi) dall’ambito della ricerca scientifica a quello del mercato.

Si tratta di un processo frutto della collaborazione tra il mondo accademico e quello industriale, che ha come obiettivo principale quello di rendere accessibile la tecnologia alle persone. Possiamo definire il trasferimento tecnologico anche come un percorso caratterizzato da un punto di partenza (la ricerca), un punto di arrivo (il mercato) e una serie di tappe intermedie (la cosiddetta filiera), in cui sono coinvolti attori differenti.

Preso atto che la tecnologia è l’espressione più concreta – la materializzazione per intenderci – di un’idea o di una teoria, per comprendere appieno il concetto di trasferimento tecnologico bisogna partire dalla definizione di proprietà intellettuale. La proprietà intellettuale è un complesso di diritti che sono stati sanciti per tutelare le creazioni dell’intelligenza umana e dare quindi adeguati incentivi a chi si cimenta nell’attività di ricerca o di creazione.

Oltre a rappresentare una sorta di garanzia per tutti coloro che creano innovazione all’interno dell’universo della ricerca, la proprietà intellettuale svolge sostanzialmente un ruolo di collegamento con il mondo produttivo e con quello delle imprese. Per queste ultime, poi, rappresenta uno degli strumenti più efficaci per conservare posizioni di vantaggio sui concorrenti, posizioni conseguite attraverso lo sforzo innovativo. In quest’ottica, la proprietà intellettuale rende più sicuro ed efficiente il trasferimento tecnologico, favorendo così lo sfruttamento dell’innovazione da parte di imprese esistenti o di nuova costituzione (spin-off e startup).

Dal punto di vista normativo, sebbene il quadro regolatorio relativo alla “protezione delle idee” sia il risultato di una serie di convenzioni internazionali, in Italia una fonte rilevante è il Codice della proprietà industriale, adottato con Decreto legislativo 10 febbraio 2005, n.30.  Sancisce, senza entrare troppo nel dettaglio, una distinzione significativa tra: proprietà industriale (ovvero opere dell’ingegno tutelate da brevetti) e proprietà intellettuale (ossia opere letterarie e artistiche, tutelate da diritti d’autore).

Ma chi fa nascere le idee?

In generale, i circuiti della ricerca pubblica rappresentano, per il momento, i principali contenitori di idee innovative.Non è raro, infatti, che grazie ai frutti della ricerca accademica si raggiungano importanti risultati per l’umanità intera. D’altra parte la ricerca scientifica e tecnologica, qualsiasi sia il campo di applicazione, è un’attività collettiva fatta di individui che condividono le proprie conoscenze per far fare passi in avanti alle frontiere della conoscenza umana.

Tale attività è parte integrante del cosiddetto ciclo di vita dell’innovazione. Caratterizzato da una filiera alquanto complessa e rappresentata da una serie di attività che portano la conoscenza dalla ricerca al mercato. In questo passaggio, un ruolo rilevante è svolto da tutti quegli attori che fanno parte del processo di trasferimento tecnologico.

Chi sono dunque i protagonisti del sistema di trasferimento tecnologico?

Enti di ricerca

L’attività di creazione di un’idea (o di una proprietà intellettuale) e la fase successiva di trasferimento tecnologico, come abbiamo detto, sono processi piuttosto complessi. Ne fanno parte un determinato numero di soggetti, i quali formano una vera e propria filiera. La letteratura al riguardo tende a suddividere gli attori di questa filiera in categorie e ruoli, aggiungendo anche il contributo dei cosiddetti servizi di supporto al trasferimento.

La prima casella del percorso di trasferimento tecnologico è occupata dalle istituzioni di ricerca. Si tratta di coloro che sono impegnati ogni giorno nelle attività di ricerca e sviluppo. All’interno di queste istituzioni (le università pubbliche ne sono un esempio, ma non solo) sono coinvolte diverse categorie di persone, spesso classificate in relazione al contratto di lavoro stipulato con l’istituzione stessa. Parliamo quindi di: dipendenti, ricercatori, collaboratori a progetto, dottorandi di ricerca ma anche tesisti.

Tutte queste figure possono essere artefici di un’idea innovativa. O, più romanticamente, possono essere degli inventori. Per questo motivo, per ognuno di loro il problema più significativo riguarda la possibilità che la proprietà intellettuale da essi generata venga protetta in modo adeguato. Anche perché, per una serie di motivazioni, le norme a livello legislativo non specificano a chi appartengano i risultati della ricerca, per tutti quei soggetti che non rientrano nella categoria dipendenti degli enti di ricerca.

Le imprese

Altro soggetto rilevante nel percorso di trasferimento tecnologico sono le imprese. Esse infatti svolgono attività di ricerca al loro interno, anche se molto diversa rispetto a quella fatta dalle “istituzioni di ricerca”. Il meccanismo è spesso quello della partnership con altre imprese o con enti di ricerca. Ma, al tempo stesso, le imprese possono essere finanziatrici di progetti di ricerca, mettendo in atto ad esempio percorsi di open innovation, ovvero andando a cercare fuori dal perimetro aziendale l’innovazione tecnologica di cui hanno bisogno. Inoltre, le imprese sono i principali acquirenti della tecnologia derivante dagli enti pubblici. Per tutti questi motivi rappresentano un soggetto indispensabile per portare a buon fine i processi di trasferimento tecnologico.

I finanziatori

Così come sono indispensabili i finanziatori, terzo anello della catena. Perché l’attività di ricerca può essere svolta con risorse proprie dell’ente di ricerca oppure con risorse esterne. In quest’ultimo caso i finanziatori possono essere sia pubblici (prevalentemente tramite bandi) sia privati (imprese, banche, fondi, business angel). Nell’ambito dei finanziamenti pubblici, tra gli altri, in questi ultimi anni sta assumendo un’importanza sempre maggiore il finanziamento europeo. Nello specifico, tra i programmi più rilevanti c’è Horizon2020. Va detto, che i finanziatori pubblici, ma anche quelli privati, sono interessati alla proprietà intellettuale sia nell’ambito della titolarità che nell’ambito dello sfruttamento dell’idea.

I TTO – Technology Transfer Offices

Per supportare l’attività degli attori principali della filiera del processo di trasferimento, nel tempo sono nati una serie di soggetti che potremmo definire “complementari”. Tra i più conosciuti ci sono gli “Uffici di Trasferimento Tecnologico”, anche noti come TTO (Technology Transfer Offices). Al di là del come siano effettivamente nati (tale processo può variare da realtà a realtà), la missione di questi uffici è favorire il trasferimento tecnologico.

In che modo? Attraverso una serie di attività: in primis aiutare i ricercatori nel posizionare i programmi di ricerca; ma anche raccogliendo e valutando le comunicazioni legate alle invenzioni; o ancora adottare le forme di protezione più adatte, oltre a commercializzare la proprietà intellettuale nei confronti di imprese esistenti o tramite la creazione di nuove (spin-off).

In altre parole i TTO rappresentano una specie canale di trasmissione tra il mondo della ricerca e quello del mercato. Anzi, in alcuni casi, contribuiscono anche a fornire agli enti di ricerca i trend e le indicazioni che arrivano dal mercato stesso, rivestendo il ruolo di suggeritori a supporto dei vertici degli enti di ricerca, per quel che riguarda i rapporti con le imprese.

Al potenziamento degli Uffici di Trasferimento Tecnologico sono rivolte anche alcune iniziative da parte del Mise (Ministero dello Sviluppo Economico). Uno degli esempi più recenti a questo proposito è il lancio, a maggio 2018, del bando per l’erogazione di risorse finanziarie a supporto dei TTO. Nello specifico il ministero ha messo a disposizione 3 milioni di euro (di cui 2,5 milioni destinati al rifinanziamento di progetti già in corso – finanziati tramite un bando risalente a luglio 2015 – e 500 mila per quelli nuovi) a sostegno di iniziative di potenziamento e capacity buiding dei TTO.

Perchè serve alle imprese e alle startup

È uso comune tra gli addetti ai lavori del mondo dell’innovazione porsi un interrogativo: il trasferimento tecnologico è open innovation? Serve o no, in buona sostanza, alle aziende per intercettare l’innovazione che arriva dall’esterno? Una risposta a questi interrogativi hanno provato a darla gli autori del libro “Open innovation essentials for Small e Medium Enterprise”. Un testo in cui si identifica il trasferimento tecnologico come una metodologia dell’open innovation, ovvero una componente di un processo più ampio che comprende anche iniziative come crowdfunding o scouting.

Secondo gli autori del libro (Luca Escoffier, Adriano La Vopa, Phyllis Speser, Daniel Satinsky) si sente troppo spesso parlare di trasferimento tecnologico come di un processo appannaggio di università e centri di ricerca, ma in realtà una tecnologia può essere trasferita da un settore industriale a un altro e quindi anche da un’azienda a un’altra. In quest’ottica dunque, il technology transfer rientra nella concezione di approccio aperto. Non bisogna dimenticare però che il processo di trasferimento tecnologico non si esaurisce con la sola ricerca della tecnologia.

Identificata la tecnologia da “portare a bordo”, per l’azienda prende vita un processo composto da diverse fasi. Quali sono queste fasi? Innanzitutto l’individuazione di un modello di business scalabile, a cui associare un “revenue model”. Il modello di vendita (o di licensing) del brevetto è poi un altro aspetto rilevante di questo processo. Successivamente si passa all’implementazione della tecnologia, ovvero all’inserimento del nuovo prodotto in produzione. Senza dimenticare la gestione dei profitti.

In ogni caso, è questa in buona sostanza la tesi degli autori, il miglior modo per permettere a un’azienda di fare open innovation, sfruttando la leva del trasferimento tecnologico, è quello del cambio culturale. Vale a dire che per fare innovazione è necessario aprire la mente all’innovazione, e cioè riuscire ad andare oltre i propri limiti, cercando sempre nuove fonti di innovazione, non necessariamente convenzionali.

È un po’ il modus operandi delle startup. Anche in piccole realtà innovative il trasferimento tecnologico può essere funzionale al proprio business. Nello specifico può velocizzare il processo di “scaleup” e agevolare le dinamiche di internazionalizzazione.

Quattro libri sul trasferimento tecnologico da leggere

  1. La gestione del trasferimento tecnologico. Strategie, modelli e strumenti.
    Autori: Conti, Giuseppe, Granieri, Massimiliano, Piccaluga, Andrea
  2. Brevetti e proprietà industriale
    Autori: Riccardo Pietrabissa,Massimo Barbieri. Maggioli Editore
  3. La gestione della proprietà intellettuale nella ricerca universitaria.
    Autore: Massimiliano Granieri
    Editore: il Mulino/Ricerca
  4. Intellectual Property for Managers
    Autore: Massimiliano Graneri
    Editore Luiss

(continua a leggere su fonte originaria EconomyUp)

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